mercoledì 28 maggio 2014

TENDENZE EUROPEE: COSA CI DICONO LE URNE? di Aldo Giannuli

Passeremo diverso tempo ancora a discutere di queste elezioni che sono state molto più importanti delle precedenti, da un punto di vista storico. Nel 2009, ad esempio, votammo ad un anno (forse due se consideriamo il 2007 come data di inizio) dal manifestarsi della crisi. Ma, sino a quel punto la crisi aveva colpito essenzialmente gli Usa risparmiando molto l’Europa. Oggi è proprio la vecchia Europa nell’occhio del tifone, logorata da cinque anni di crisi continua e senza che se ne veda l’uscita. E, conseguentemente, i risultati hanno sconvolto la mappa politica del continente. Una prima osservazione: anche se si parla di elezioni “europee”, di fatto si tratta solo della sommatoria di elezioni nazionali.

Come ha scritto Lucio Caracciolo:
«Nessuno Stato che esibisse come parlamento l’assemblea di Strasburgo, con i suoi limiti di autorità e potestà legislativa, senza un governo da votare, controllare e sfiduciare, potrebbe infatti passare il test preliminare di democrazia. Sicché, una volta insediato, i media di tutto il mondo si disinteressano quasi totalmente di ciò che accade in quell’esoterico emiciclo. Né si tratta di un’elezione europea in cui ognuno di noi sceglie i suoi deputati a prescindere dallo Stato di origine. Semmai, di 28 scrutini nazionali. Su liste composte in base a logiche domestiche nei diversi paesi dell’Ue, cui seguono molto virtuali campagne elettorali, centrate sui temi che interessano le opinioni pubbliche locali. Le quali lo considerano un voto nazionale di serie B, un test in vista del vero voto politico, quello interno».
La conseguenza di tutto questo è che difficilmente, in questo tipo di elezioni, si verificano tendenze omogenee per le quali un partito avanza o arretra in tutta Europa, salvo isolate sacche. Di solito, ogni paese segue le sue dinamiche interne e il risultato finale è piuttosto disomogeneo, salvo tendenze generalissime e poco specifiche.

Nel nostro caso, si sono verificate due tendenze generali: il tendenziale calo dell’affluenza al voto (un po’ dappertutto, ma con particolare riguardo ai paesi dell’est) e la tendenza alla frammentazione della rappresentanza con il successo dei partiti cd “euroscettici”. Due dati convergenti nella sfiducia verso il progetto Ue.

Ovviamente, tutto è liquidato con la solita sufficienza dei commentatori che lamentano la scarsa affezione alla grande Madre Europa da parte degli immaturi cittadini europei, populisti e astensionisti, per concludere con il consueto mantra del “Ci vuole più Europa” magari con qualche ritocchino qua e là. Dove per “più Europa, si intende qualche fumoso slogan per nascondere un ulteriore giro di vite della tecnocrazia di Bruxelles e dei grandi poteri finanziari contro la democrazia.

Ma questa volta non è così: non si tratta solo della perdita di alcuni punti percentuali dei votanti, ma di uno stato di malessere diffuso e piuttosto profondo. Queste sono elezioni un po’ particolari anche perché si svolgono in 27 paesi diversi con 27 diversi sistemi politici organizzati su centinaia di diversi partiti e raggruppati in una decina di gruppi parlamentari che contengono molte sfumature interne. D’altro canto, molte differenze di cultura politica più nette all’origine, sono andate impallidendo nel tempo e perdendo molto senso. Ad esempio, ancora negli anni ottanta, la contrapposizione fra democristiani (diventati più genericamente “popolari” che includevano anche partiti non confessionali) e socialisti-socialdemocratici era piuttosto marcata, soprattutto su terreni quali la difesa del welfarestate o i diritti civili, mentre, dagli anni novanta, con il passaggio dei socialisti in campo neo liberista questa differenza è andata assottigliandosi. Soprattutto, dagli anni novanta in poi, quattro grandi partiti europei (popolari, socialisti, liberali e verdi) sono confluiti nel comune progetto della Ue senza sostanziali divisioni fra loro. Una sorta di “superpartito europeista” che monopolizzava la rappresentanza popolare (insieme, raccoglievano oltre l’85%-90% dei voti popolari) ed era al potere in quasi tutti i paesi dell’Unione. Questa era l’area della “legittimazione europeista” che conosceva un’unica alternativa possibile (quella fra popolari e socialisti) e che faceva coincidere l’aspirazione all’unità europea con lo specifico progetto della Ue.

Questo è stato il quadro sino al 2009. Queste elezioni segnano il declino di questo super partito che lascia sul campo molte decine di seggi, al punto che è virtualmente finita l’alternanza interna al “partito europeista”, fra popolari e socialisti. Anche alleando i popolari con liberali e verdi non si raggiungono i 360 voti necessari a far maggioranza e, per la prima volta, tocca prendere in considerazione quella grande alleanza che ha già avuto le sue grandi prove in Germania ed Italia. La formula della maggioranza delle “ampie convergenze” si avvia a diventare da eccezionale e nazionale, in formula di medio periodo e continentale. Tacciono le differenze interne all’ “area della legittimazione” mentre emergono le differenze fra partiti “interni” al sistema e partiti anti-sistema: i “barbari” come già li chiamano a Strasburgo.

Per questo si tratta di un voto che, per la prima volta mette in discussione la legittimazione stessa del sistema e che vede convergere il boom dei partiti cosiddetti “euroscettici” (o, se preferite, eurocritici) con l’incremento dell’astensione, per cui l’ “area della legittimazione europea” si riduce sino a meno del 30% del totale degli aventi diritto al voto. Certo: sappiamo che non tutti gli astenuti sono tali per scelta, protesta o indifferenza, ce ne sono sicuramente anche di casuali e di impossibilitati, per cui occorre deputare il totale dell’astensione da quella di natura “fisiologica”, per ottenere l’”astensione politicamente significativa”. E, per apprezzare il valore di quest’ ultima, basta un confronto con la media delle astensioni nelle elezioni politiche, ottenendo il margine di incremento che segnala l’indifferenza, se non l’ostilità, verso le istituzioni europee. E sommando questa fascia aggiuntiva di astensionismo alla somma dei voti “Euroscettci” di vario tipo, si ottiene che “area della legittimazione” ormai oscilla pericolosamente intorno al 50% e, in diversi paesi, va decisamente sotto.

Va però detto che l’area “euroscettica” ha molte sfumature interne e, per molti versi, presenta poli altitetici che si collocano sia a sinistra che a destra del “partito della legittimazione”, per cui non rappresenta alcuna alternativa in positivo, ma esprime solo la contestazione dell’esistente.

C’è chi è contro l’idea stessa di unità europea e chi vuole un diverso modo di realizzarla. Siamo ancora ad una fase embrionale di questa crisi del progetto Ue. Sull’analisi di come sia cambiata la mappa del potere in Europa, e quali siano i risultati per ciascuna area politica (euroscettici, socialdemocratici ecc.) dopo questa mareggiata elettorale, avremo molto da discutere più avanti. Per ora partiamo da questo punto: si è aperta la crisi politica del progetto europeista espresso dalla Ue mentre ancora non emerge qualcosa di alternativo con caratteri propri e positivi.

Di fronte a questo assistiamo al rinchiudersi “a riccio” dell’area della legittimazione nella formula delle “larghe intese” che, paradossalmente, porta acqua al mulino degli anti-sistema. Sulla base di queste considerazioni, nei prossimi giorni, cercheremo di capire il senso delle dinamiche per aree geografiche e politiche.

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